ORO ALCHEMICO

Pubblicato da Damiano Checchin il

oro alchemico

SESTA PARTE

Eccoci arrivati alla sesta parte dell’articolo sull’oro alchemico per continuare così il nostro percorso alchemico/esoterico.

IL RINASCIMENTO, ETA’ D’ORO DELL’ALCHIMIA

Il Rinascimento non rappresentò, nel campo del pensiero, un taglio netto e radicale con il passato come a volte si ritiene.

Il gusto per la verità, un diffuso senso di curiosita e lo spirito di avventura, erano già presenti nel XIII secolo.

Il rispetto per gli antichi autori come Platone e Aristotele era tutt’altro che estraneo al Medioevo.

Contemporaneamente, alcuni valori come lo spirito critico, il dibattito delle idee, il rifiuto delle “verità” rivelate dall’alto, che attribuiamo al Rinascimento, erano sicuramente proclamati a gran voce nel XV secolo, ma ci sarebbero voluti altri centinaia di anni perché quei princìpi fossero spinti alle loro ultime conseguenze, sia positive che negative.

Il Rinascimento era una fornace in cui ribollivano fumi del passato e fermenti nuovi.

Il problema di conciliare tradizione e innovazione non era ancora risolto e, probabilmente, non lo sarebbe mai stato.

AUMENTO DELLA CREDULITA’ POPOLARE

In un primo tempo la credulità sembrò aumentare.

Per quanto il pensiero medievale fosse impregnato di credenze magiche, esso manteneva, nonostante tutto, un certo rigore.

La rottura degli schemi più rigidi della cultura medievale provocò una vera e propria ebbrezza degli spiriti.

In quell’atmosfera di esaltazione disordinata e di rigoglio confuso che accompagna le grandi rivoluzioni intellettuali, anche la magia trovava il suo posto e le superstizioni più ingenue finirono con il confondersi con le speculazioni filosofiche.

Inoltre, la stampa assicurava una sempre maggior diffusione ai trattati di astrologia, di divinazione, di alchimia, che spesso non erano diversi da quelli dell’antichità.

PARACELSO: UN PERSONAGGIO ENIGMATICO

Philippus Aureolus Theophrast Bombastus von Hohenheim detto Paracelso

Philuppus Aureolus Theophrast Bombastus von Hohenheim ci offre un buon esempio del fenomeno.

Lo studioso è più noto sotto il nome di Paracelso (“ più grande di Celso”, il celebre medico dell’antichità) che egli si attribuì alla faccia della modestia.

Paracelso nacque il 17 dicembre 1493 nei pressi di Zurigo, unico figlio del medico condotto di Einsiedeln. Nel 1502, suo padre si stabilì a Klagenfurt, dove rimase fino alla morte, nel 1534.

Si sa poco degli studi di Paracelso: nel 1514 lo ritroviamo in Tirolo, dove visita le miniere dei Fugger. Acquisì così un solido bagaglio di metallurgia e, senza dubbio, anche i primi rudimenti di alchimia e la curiosità per l’oro alchemico.

Paracelso viaggiò molto, forse in qualità di medico militare: visitò Francia, Germania, Italia (dove si laureò in medicina a Ferrara), le Fiandre, l’Inghilterra, la Scandinavia e forse la Russia e l’Oriente.

Curò e guarì Frobenius amico dell’umanista Erasmo. Erasmo, ammalatosi, si rivolse a lui e lo raccomandò in seguito alla città di Basilea, dove era vacante la cattedra di medicina.

LO SCANDALO DI BASILEA

Quando Paracelso arrivò a Basilea, vi provocò un vero e proprio scandalo: prescriveva rimedi di composizione minerale anziché le solite pozioni vegetali tradizionali, proclamava la sua scarsa fiducia nei medici suoi colleghi e giunse persino a bruciare pubblicamente le opere di dottori famosissimi come Avicenna e Galeno.

Il tribunale gli diede torto nella causa contro un canonico che gli doveva del denaro.

Le invettive di Paracelso furono tali che fu costretto a lasciare al città, per paura di finire in prigione.

Condusse allora, in Germania, una vita errabonda e miserevole, fino a quando l’arcivescovo di baviera lo invitò a Salisburgo.

Morì in quella città, il 24 settembre 1541, poco dopo il suo arrivo.

LA CREDULITA’ DI PARACELSO

La credulità di Paracelso è pari a quella dei suoi contemporanei.

Affermava che l’airone aspirava acqua marina con il becco e se la iniettava nell’ano a guisa di clistere.

Pensava che un morso, rivestito con la pelle di leone, avrebbe aumentato la longevità del cavallo.

Spiegava come fabbricare uno specchio magico e amuleti di metallo che lavorava per trasformarli in oro alchemico.

Queste affermazioni, tuttavia, possono apparire assurde soltanto a chi ignori il concetto dell’universo difeso da Paracelso. Così come l’uomo ha un corpo, un’anima e una mente, anche il cosmo ha un corpo (il mondo visibile), un’anima invisibile che abita in lui dirigendolo e una mente: Dio.

Fra queste entità esistono corrispondenze, influenze, simpatie, che spiegano l’azione degli astri sui metalli, sugli organi umani, sulle malattie.

L’ALCHIMIA DI PARACELSO E IL SUO ORO ALCHEMICO

L’alchimia di Paracelso porta il segno delle sue idee nei confronti dell’universo.

Il Mysterium Magnum (Il Grande Mistero), fonte, germe e radice del mondo, si divise fin dall’origine in tre princìpi, i tria prima che sono il sale, lo zolfo e il mercurio (corpo, anima, mente delle sostanze materiali).

I QUATTRO ELEMENTI DELL’ORO ALCHEMICO

Solo in seguito comparvero i quattro elementi tradizionali, acqua, aria, terra, fuoco.

I tre princìpi non dovevano essere assimilati allo zolfo, al sale o al mercurio noti a tutti: esistevano, per Paracelso, uno zolfo dell’argento, uno zolfo del rame, uno zolfo dell’oro e perfino uno zolfo speciale per ogni specie di oro differente.

A lui non interessava il metallo nobile in sé ma il suo uso medico: medaglione d’oro inciso con segni cabalistici oppure “oro potabile” di cui dava la ricetta.

Il compito dell’alchimista era di isolare il principio attivo allo stato puro, dalla sostanza: in ciò, egli preannunciava la chimica moderna.

E’ stato Paracelso a pronunciare per primo la parola araba alcool per designare lo spirito divino.

Inventò le parole “zinco”, “quintessenza”, cioè “l’arcano” di una sostanza, il suo essere più sottile, una volta eliminati i quattro elementi.

ZACAIRE E LE SUE VICISSITUDINI

opuscolo eccellentissimo della vera filosofia naturale dei metalli, che tratta dell’aumento e della perfezione di essi, con avvertimento di evitare le folli spese che si fanno ordinariamente per difetto di vera scienza, a cura di Mastro Denis Zacaire, gentiluomo e filosofo guinnese

L’opera immensa e disordinata di Paracelso fu pubblicata (parzialmente) soltanto dopo il 1560 esercitando un profondo influsso sugli alchimisti delle epoche successive.

Ma non si sa molto della sua esperienza concreta di laboratorio e, l’alchimia del XVI secolo, sarebbe rimasta nebulosa se non ci fossero pervenute altre testimonianze.

La Biblioteca Nazionale di Parigi, conserva un volumetto di 10 centimetri per 15, rilegato in pergamena, stampato ad Anversa da Guillaume Silvius nel 1567.

Esso s’intitola “opuscolo eccellentissimo della vera filosofia naturale dei metalli, che tratta dell’aumento e della perfezione di essi, con avvertimento di evitare le folli spese che si fanno ordinariamente per difetto di vera scienza, a cura di Mastro Denis Zacaire, gentiluomo e filosofo guinnese”.

In questo periodo, di certo, gli scrittori non avevano il dono della sintesi e Zacaire inizia col denigrare i suoi colleghi alchimisti che cercavano l’oro alchemico, sottolineando le loro contraddizioni e svelandone gli enigmi vari.

Egli aveva l’intenzione, contrariamente ai suoi predecessori, di spiegare chiaramente ciò che gli altri avevano avvolto nel mistero e, in primis, il metodo per ottenere il cosiddetto “oro alchemico”.

IL RACCONTO DI ZACAIRE

All’età di vent’anni Zacaire era stato mandato dai genitori in collegio a Bordeaux per studiarvi le arti dove apprese i segreti dell’alchimia e dell’oro alchemico.

Si trasferì a Tolosa allestendo piccoli forni dove distillava, sublimava e fondeva i metalli e dove apprese numerosi segreti alchemici.

Si trasferì a Parigi entrando presto in relazione con più di cento alchimisti e dove gli fu consigliato di leggere i libri dei filosofi antichi.

Dopo numerosi insuccessi, vide apparire i “tre colori” (nero,bianco,rosso) descritti dai filosofi e “proprio il giorno di Pasqua” proiettò la divina polvere sul mercurio, che convertì in oro fino, in meno di un’ora.

Zacaire, dopo questi successi, si ritirò in una cittadina tedesca “con un modestissimo tenore di vita, al fine di non essere riconosciuto”.

CONCLUSIONI

Zacaire è noto soltanto attraverso il suo libro e forse non è nemmeno mai esistito come afferma il chimico E.J. Holmyard.

Il suo racconto, comunque, offre alcune indicazioni utili: documenta che l’alchimia era così di moda da offrire il tema a un’opera di successo

La sua spiritosa descrizione delle usanze alchimistiche fa supporre che un certo discredito stava cominciando, già a quell’epoca, a minare il prestigio degli ermetisti.

L’autore si dimostra troppo accorto, però, per giocare quella carta sino in fondo: preferisce puntare su due cavalli e se da un lato prende in giro l’alchimia, dall’altro lusinga la credulità dei suoi lettori, descrivendo la trasmutazione dell’oro alchemico.

…continua


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